"La Chiesa raccontata da Boccaccio" di Carol Morinello (classe IID)
Quest' anno ho iniziato a studiare le novelle del Decamerone, opera scritta da Giovanni Boccaccio. Boccaccio era un mercante che poi diventò uno dei tre scrittori più importanti d’Italia nel Trecento, infatti fa parte di una delle tre corone insieme a Dante e Petrarca. Dato che era un mercante, Boccaccio dovette viaggiare per molti paesi, conoscendo nuove culture e soprattutto persone di tutte le classi sociali, così lui scrisse le sue novelle basandosi sulle esperienze fatte in questi viaggi. Ogni novella è scritta sotto forma di parabola per dare un insegnamento e far riflettere sui casi della vita. Tra tutte queste novelle ce n'è una in particolare in cui Boccaccio parla della Chiesa e s’intitola: “Frate Cipolla”. La novella parla di questo frate che due volte l' anno andava in un borgo in Toscana a chiedere l'elemosina per i frati della chiesa di Sant' Antonio Abate. Un giorno dopo la Messa, il frate chiese ai fedeli di tornare il pomeriggio alle tre per raccogliere l’elemosina e in cambio lui avrebbe fatto vedere la reliquia della piuma dell' Arcangelo Gabriele. Così quando lui andò a pranzare, due suoi amici volendogli fare uno scherzo, andarono a rubare la piuma, che ovviamente non era dell' Arcangelo ma di un pappagallo, sostituendola con del carbone. Quando arrivò l' ora della Messa e il frate aprì la scatolina in cui teneva la reliquia, vide che c'era il carbone, non lasciandosi prendere dal panico il frate iniziò a raccontare la storia di un suo viaggio a Venezia, durante il quale aveva incontrato il padre Nonmibiasimare Perfavore che gli aveva fatto vedere moltissime reliquie e prima che lui se ne potesse andare il padre gliene aveva regalato due: “La piuma dell' Arcangelo Gabriele e i carboni dove era stato bruciato San Lorenzo” e spiegò che le scatole erano molto simili e le scambiava spesso, così era successo anche quella volta. Boccaccio, molte volte cita la Chiesa nelle sue novelle e quasi sempre in modo spregiativo. Naturalmente lui fa riferimento alla Chiesa medievale e non a quella dei nostri giorni, anche se in realtà qualcosa da allora non è cambiato. Lo scrittore con questa novella vuole farci capire che non sempre la Chiesa è leale nei nostri confronti e spesso e volentieri si approfitta della nostra ignoranza in materia. Nella novella i credenti credono a tutto quello che gli dice il frate, come facciamo anche noi del resto. In realtà non sappiamo se quello che ci viene detto è vero e per questo i preti si prendono gioco di noi mentendoci come ha fatto quel frate. Se prendiamo l’esempio della carità che noi andiamo a fare in chiesa, la facciamo pensando che questa vada a finire in beneficenza alle famiglie più bisognose, però in realtà noi non sappiamo a chi vada a finire. Ovviamente non tutte le chiese e non tutti i preti sono così, però molti si approfittano della nostra ignoranza.
Anche in un’altra novella Boccaccio parla in modo negativo della Chiesa, nella novella del “Frate inquisitore”. In questa novella lo scrittore narra la vicenda di un frate corrotto e assetato di soldi, che appunto si faceva pagare per le indulgenze cioè per togliere i peccati. Siamo naturalmente nel periodo oscuro dell'Inquisizione. Questo frate perseguitava le persone che parlavano male di Dio, anche quelle che lo nominavano solamente, come ad esempio quando una volta un signore ingenuamente disse : “Com' è buono questo vino, pure Cristo lo berrebbe”. Così i fedeli per non farsi perseguitare e soprattutto per non subire le conseguenze, lo corrompevano pagandolo spudoratamente. Quindi Boccaccio vuole farci capire come la Chiesa molte volte è corrotta e disonesta e come i preti fanno questo lavoro per arricchirsi e non per seguire la vocazione. Lui usa però la sua proverbiale ironia, prendendosi gioco da un lato degli uomini di chiesa, dall'altro degli ingenui fedeli.
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